Matteo Caccia, lo storytelling e la corsa

Diplomato all’Accademia dei Filodrammatici di Milano Matteo Caccia lavora dapprima come attore di prosa per poi cominciare a scrivere per il teatro. Parallelamente all’attività teatrale diventa conduttore radiofonico. Il suo talento emerge prepotentemente con il programma Amnèsia.

“Feci la proposta. Facemmo una puntata pilota. Il programma doveva durare tre mesi e durò undici”.
Uno sceneggiato, definito da lui stesso docufiction, che racconta una storia incredibile: Matteo a teatro viene colpito da un’amnesia retrograda globale. Da quel momento un percorso introspettivo che lo porta a ricostruire tutti i pezzi della sua vita.
“Mi piaceva scrivere delle cose per dirle davanti a un microfono e aveva un senso. A dispetto di quello che tanti dicono che la radio sia un sottofondo nella vita delle persone. In realtà ha un contenuto importante. Vidi un documentario, ancora oggi non so dire se fosse veramente reale oppure no, parlava di un uomo che aveva perso a memoria. Il valore che ci vidi fu quello di un uomo che scopre il mondo per la prima volta”.

“La parola storytelling non si usava nel 2008. Io lo chiamavo un programma di narrazione. Quello che raccontiamo è la quotidianità vista con gli occhi di un uomo normale a cui succede una cosa straordinaria. Negli ultimi anni la cosa che mi interessa di più è la condivisione di vita umana. Non mi interessa che sia un pezzo sgrammaticato o con un uso improprio del lessico italiano ma di verità e di umanità. Questo è quello che intendo per condivisione. Un uomo di 70 anni di Belluno che racconta un pezzo della sua vita appartiene anche a una persona di 30 che vive a Catania che ci vede qualcosa di sé o di cui qualcuno che gli è vicino”.

Raccontare una storia di vita, dice Matteo, è un atto politico. Un modo per fare vedere alle persone – ma anche a te stesso – che non accadano solo a te, perché non sei al centro del mondo e non sei solo al mondo. La stessa cosa, bella o brutta che sia, è già successa a qualcun altro.

“Il mondo è molto diverso da come te lo immagini ma anche molto vicino a te”

Le storie vanno cercate ma ti vengono anche a cercare. Matteo per sua indole e curiosità le trova e le scova quotidianamente. Dice di fare troppe domande anche quando è in vacanza, proprio come nel momento in cui gentilmente ci rilascia questa intervista, fin quando non ha sfamato la sua curiosità.

Matteo corre da un anno e mezzo e, con una preparazione di soli quindici settimane, nel novembre scorso,riesce nel sogno che ogni Runner – senza troppi segreti – porta nel cuore: correre la Maratona di New York. Comincia in seguito ad una considerazione fatta con Marco Rocca di Brooks Running che è poi quella generalmente che tutti più o meno fanno: “Marco ma non è noioso correre? Non c’è una palla. Non si può giocare”. Arrivano un paio di scarpe da parte di Marco, suo ascoltatore, e dopo brevissimo tempo Matteo si rende conto della potenza comunicativa che ha la corsa nonostante sia per antonomasia lo sport solitario per eccellenza.
Telefona a Marco e dice che si diverte. Tiene un diario di tre mesi dove racconta non il suo allenamento ma cosa gli accade correndo. Cosa vede per i parchi e per le città. Lo pubblica sul suo profilo Facebook annotando questa nuova avventura che fa germogliare e radicare la passione. La sacra chiamata al running, insomma.

“Ricevo tante storie di Runner ma il problema è che tanti sono convinti che raccontare di fare 4’30”/km sia molto interessante per il resto del mondo. Cosa che invece non è”.
Un RunLovers a tutti gli effetti, Matteo. Senza tempi e vaneggiamenti di onnipotenza. Una storia nella storia come in un caleidoscopio. Vite che si incontrano correndo e la tua: tra passi fatti faticando ma anche canticchiando. Passi accelerati ma anche lenti e riflessivi.

“La maratona di New York è un’esperienza umana incredibile. Tu corri per strada e la gente ti vuole bene solo per il semplice fatto che stai correndo ed è una cosa incredibile a cui non siamo abituati. Ti vogliono bene gratuitanemente e urlano il tuo nome solo perché ce lo hai scritto sulla maglietta”.

Al venticinquesimo chilometro, racconta Matteo, sul ponte più lungo dove sapeva che da lì in avanti ci sarebbe stato solo territorio sconosciuto per via della sua preparazione, ha incontrato un ragazzo tretaplegico che correva insieme ad altri due ragazzi. Era seduto su di una carozzina. Aveva solo un piede a disposizione. Andava pianissimo e sulla maglietta aveva scritto: David Express.
“David mi ha insegnato molto più di quello che ho imparato in quindici settimane di allenamento”.

E in diciotto minuti di intervista io ho imparato che avere tutti gli mp3 di Matteo Caccia e Amnèsia ancora ben conservati è roba di cui andare parecchio orgogliosi. Lo Storytelling è diventato, come tutto, una moda ma davvero in pochi sanno raccontare storie incredibili e al tempo stesso quotidiane con emozioni semplici, forti e profonde.

Matteo Caccia verrà premiato come Miglior Storyteller del 2015 agli Adventure Adwards Days di Livigno, nei quali ci sarà anche il Trail Running Camp organizzato con noi di RunLovers. Ti aspettiamo!

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1 commento

  1. Sinceramente, sarà l’influenza di Matteo Caccia, ma anche quest’articolo mi sembra eccellente storytelling… Complimenti!

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